CENTO ANNI DI FALSITA'.
Alle elezioni del 6 aprile del 1924, le liste sostenute dal Partito Nazionale Fascista ottennero il 66,3 per cento dei voti validi. Il successo fu amplificato dalla nuova legge elettorale (legge Acerbo) che diede alla coalizione governativa la maggioranza assoluta dei seggi: 374 deputati su un totale di 535.
Durante la campagna elettorale pressioni e intimidazioni da parte fascista sicuramente ci furono, anche se non mancarono quelle di segno opposto che causarono la morte di 17 simpatizzati ed esponenti fascisti e altri 147 rimasero feriti, ma l’incidenza che ebbero sul risultato elettorale, vista l’ampiezza del successo ottenuto, fu del tutto marginale. Lo stesso Matteotti, nel suo celebre intervento alla Camera del 30 maggio 1924 con cui si scagliò con veemenza contro il governo, poté citare e documentare solamente un paio di casi, peraltro discutibili. Con la sua violenza verbale, Matteotti si proponeva in realtà di scavare un fossato incolmabile tra governo e opposizione per ostacolare un eventuale accordo tra le parti.
Matteotti, infatti, sapeva che Mussolini stava lavorando per spostare l’asse del suo governo a sinistra. Già circolavano i nomi per un rimpasto con ministri di area socialista (…) Secondo Arrigo Petacco (della stessa opinione è anche il De Felice), Mussolini in quei giorni sognava ancora di avvicinare i socialisti moderati e di realizzare un partito con loro. Questa svolta politica era vista come il fumo negli occhi non solo da Matteotti, ma anche dai ras fascisti più oltranzisti come il cremonese Roberto Farinacci.
A capo di una solida e compatta maggioranza parlamentare e forte dell’enorme consenso popolare e del prestigio internazionale di cui godeva, Mussolini non aveva nessun interesse a far riesplodere tensioni e violenze tra fazioni che avrebbero rigettato l’Italia nel caos. Al contrario, aveva tutto l’interesse a stabilizzare e tranquillizzare il Paese. I maggiori problemi non gli venivano da un’opposizione divisa e demoralizzata che ritirandosi sull’Aventino aveva rinunciato a combattere, ma dall’interno, da quei fascisti “puri e duri” che spingevano per la cosiddetta “seconda ondata” al fine di abbattere la monarchia e ridimensionare il peso politico della borghesia e del ceto industriale.
Il sequestro e il successivo assassinio di Matteotti furono, infatti, opera di un terzetto squinternato di loschi individui legati alle frange più fanatiche del Fascismo estremo, guidati da Amerigo Dumini, un membro della polizia politica. Che l’azione fosse opera di sprovveduti che volevano dare una lezione a Matteotti e non un omicidio premeditato, lo dimostrano l’orario, le 16:30, in pieno giorno, l’uso di una macchina con targa riconoscibile parcheggiata nei giorni successivi nel cortile del Viminale, la mancanza di attrezzi di scavo per occultare il cadavere, l’aver girovagato per diverse ore alla ricerca di un posto in cui seppellire grossolanamente il corpo, che, infatti, fu rinvenuto giorni dopo la confessioni degli autori che si ricordavano solo vagamente il luogo. Infine l’arma utilizzata per uccidere Matteotti nel corso della colluttazione avvenuta all’interno dell’abitacolo: una lima arrugginita trovata dall’autore del delitto nel cruscotto dell’auto.
Convinti della totale estraneità del Duce erano la vedova Matteotti, Velia Titta, e il figlio Matteo. Lo conferma la vicenda del vitalizio concesso da Mussolini ai familiari di Matteotti, persone dignitose che mai avrebbero accettato quel denaro se avessero saputo che era stato proprio il Duce a pronunciare la condanna a morte del loro congiunto. Anche il suo principale accusatore, il giornalista Carlo Silvestri, capo redattore del Corriere della Sera, cambia opinione dopo aver acquisito nuove prove e testimonianze.
Ne sono convinti anche Giovanni Giolitti, Luigi Einaudi e Benedetto Croce che alla fine della discussione in Senato gli votano la fiducia, quest'ultimo si fa promotore di un ordine del giorno a favore di Mussolini. Perfino l’ambasciatore sovietico Jurenev non nutre alcun dubbio. Infatti, nel corso di un sontuoso pranzo organizzato l’11 luglio nell’ambasciata russa, Jurenev rinnova a Mussolini l’amicizia dell’Unione Sovietica. Incontro che susciterà l’irritazione di Togliatti, che nel suo tentativo di sfruttare la vicenda si ritrova a essere sconfessato anche da Stalin.
Dopo la fine della guerra, nel gennaio 1947, avvenne la revisione del processo che tra conferme e assoluzioni escluse la responsabilità diretta di Mussolini.

Tratto da "I danni del Fascismo e le colpe di Mussolini" di Gianfredo Ruggiero

370 pagine euro 18 - E-Book euro 8
Distribuito da AMAZON

image